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CRITERI DI DIAGNOSI
A causa dello stato di agitazione e disagio incomprensibili per chi li vive, la persona che soffre di disturbi d’ansia, è costretta a rivolgersi a specialisti che tramite il racconto della sintomatologia del disturbo, riescano a diagnosticare la sua natura, difficile però è capire come intervenire per alleviare la situazione.
Ciascun metodo di cura richiede una particolare attenzione all’individuo,uno studio della persona, della sua storia, di come si manifesta il sintomo, a che cosa esso serve.
Banalizzare con l’etichettare qualcuno, facendolo rientrare in una categoria limitata di sintomi è due volte errato: si rischia di perdere di vista il paziente nel suo disagio completo e molteplice, si rimane attaccati agli stessi comportamenti di fronte a casi differenti nella loro realtà e funzione.
Nel 70% dei casi, pazienti che soffrono di un disturbo d’ansia,ad esempio, possono presentare una sintomatologia depressiva, così come il 50% dei pazienti che presentano una psicopatologia, soddisfano i criteri per un secondo disturbo.
Inoltre per i disturbi d’ansia, c’è un’ulteriore questione da tenere bene a mente: riportare di tanto in tanto una certa sintomatologia, non vuol dire soffrire del disturbo vero e proprio a cui essa potrebbe appartenere. Un criterio fondamentale nella diagnosi corretta, perciò, è l’analisi del fattore tempo ( da quanto tempo si presenta il sintomo, per quanto tempo nella giornata, in quali momenti).
Partiamo dal presupposto che ogni organismo abbia un suo equilibrio e la legge di natura tenda a farlo mantenere ( in psicologia “omeostasi” è il termine utilizzato per esso).
Nonostante molto spesso possano influire sull’equilibrio spinte esterne che tentano di modificarlo come eventi stressanti, lutti, modificazioni ambientali di diverso tipo, l’organismo tenderà sempre a dare la sua risposta riequilibratrice a questi agenti di disturbo.
Può dunque avvenire che il nostro sistema nervoso si modifichi in funzione di questa risposta ambientale che deve dare, tutto questo in termini assolutamente normali, di adattamento.
E’ il caso ad esempio del disturbo post traumatico da stress, che si innesca al sollecitare di determinate situazioni ansiogene, ma che con molto probabilità è in grado di “rientrare” una volta eliminato l’oggetto che determina quest’ansia.
Nel diagnosticare un disturbo ansioso, si deve inoltre, necessariamente escludere una patologia che sia organica, o qualsiasi altro disturbo fisico, che possa meglio giustificare i sintomi.
Non è quindi facile diagnosticare un disturbo, per la variabilità dei quadri clinici e molto spesso per la rigidità di chi fa la diagnosi, che tende ad adattare il paziente al quadro clinico, invece di studiarne la storia nella sua unicità.
Il sintomo ci può essere di grande aiuto, ma solo come punto di partenza per addentrarci del mondo che esso nasconde con la funzionalità.
Ogni disturbo ha una sua funzione, riveste un significato nella vita della persona che lo porta, tutto sta nel capire a cosa serve, che cosa sorregge questa situazione, quali vantaggi oltre che svantaggi può dare.
Ne consegue che l’approccio alla diagnosi prediligerà un ascolto attento, libero da pregiudizi, del racconto dell’esperienza di sofferenza oltre che dei sintomi del disturbo.
Bisogna liberarsi dalla tentazione dell’etichettare il paziente, al contrario avvicinarci a lui, nella comprensione della funzionalità del suo disturbo: capirne la collocazione, la sua persistenza e che cosa ha tentato di fare la persona per eliminarlo.
Esistono due manifestazioni caratteristiche riscontrabili in diverse tipologie di disturbi d’ansia che sono:
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Le diverse tipologie di disturbi ansiosi sono:
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